Oxana Pachlovska racconta il 1989 in Ucraina

L’evento più significativo del 1989 in Ucraina – anno che segna il crollo dei regimi comunisti in tutta l’Europa orientale, innestando un processo che porterà due anni più tardi alla dissoluzione dell’URSS – è stato con molta probabilità il funerale del poeta dissidente Vasyl’ Stus e quello dei suoi compagni di prigionia Jurij Lytvyn e Oleksa Tychyjv.
Oxana Pachlovska, in un articolo pubblicato originariamente sulle pagine del quotidiano Il Riformista con il titolo “Il funerale di un poeta ci liberò da Mosca” il 18 dicembre 2009, mi spiegò che in realtà il vero 1989 ucraino – quello che svegliò le coscienze anche di quella parte della società più allineata con il Partito – fu la catastrofe di Chernobyl (Chornobyl in ucraino) dell’aprile 1986. Tant’è che il Crollo del Muro di Berlino, di tre anni più tardi, sembrò quasi un evento scontato ed ineluttabile per molti ucraini.
Ciò che rileva, a fini della ricostruzione degli ultimi 30 anni di storia di un paese che sta attraversando in questi giorni il periodo più critico dalla sua indipedenza (24 agosto 1991) ad oggi, è che 1986, 1989, 1991, 2004 e 2014, pur nella loro diversità, sono date epocali perché segnano tappe fondamentali di un progressivo, seppur lento e tuttora in fieri, affrancamento della società ucraina dalla dominazione imperiale moscovita. Raccontare cosa accadde a partire dalla seconda metà degli anni ’80 a Kyiv è fondamentale per comprendere un processo di democratizzazione e di de-sovietizzazione che in tempi recenti ha dato vita a due rivoluzioni popolari: il Maidan arancione del 2004 e l’Euromaidan del 2014.

Oxana Pachlovska racconta il 1989 in Ucraina

Quando nel 1985 Michail Gorbaciov, agronomo di Stavropol’, protetto di Jurij Andropov, viene catapultato ai vertici del Cremlino, dopo la stagione della “gara dei catafalchi” (muoiono uno dopo l’altro Brezhnev, Andropov e Chernenko), il suo progetto di riforma dell’Unione Sovietica – sarà lui stesso ad ammetterlo qualche tempo più tardi – si basava essenzialmente su una ristrutturazione economica del sistema ma non prevedeva alcuna trasformazione politica.
Durante il suo primo discorso a Kyiv nel giugno 1985, il neo segretario del PCUS si sofferma sul ruolo fondamentale dell’Ucraina all’interno dell’economia sovietica ma compie un’imbarazzante gaffe quando, in diretta televisiva con gli abitanti della capitale ucraina, fa coincidere i termini Russia e Unione Sovietica dimostrando di non avere nella sua agenda politica, al pari dei suoi predecessori, la questione nazionale.
Ritratto al fianco di Shcherbytsky – capo del Partito a Kyiv, ex delfino di Brezhnev e uomo del ritorno al “Grande Freddo” dopo la stagione di parziale disgelo del “nazionalcomunista” Shelest (1963 – 1972) – Gorbaciov non sembra preannunciare con la sua postura e le sue parole riforme politiche nella repubblica “sorella”.
L’85 sarà infatti contrassegnato in Ucraina dal riacutizzarsi della repressione verso i dissidenti. Molti di loro verranno imprigionati e il poeta Vasil’ Stus, nonostante un accorato appello di Andrei Sacharov, morirà, in seguito a uno sciopero della fame, in un lager siberiano.
Quattro anni più tardi, nei giorni in cui folle festanti di cittadini di Ungheria, Romania, Polonia, Cecoslovacchia e Germania Orientale salutano la caduta della cortina di ferro, la situazione – ricorda Oxana Pachlovska, docente di Ucrainistica alla Sapienza di Roma – è completamente mutata anche a Kyiv. Lo spartiacque, la tragedia di Chornobyl.
In Ucraina l’opposizione al regime comunista ebbe come evento scatenante, molto più che l’annuncio della ‘perestrojka’, la catastrofe di Chornobyl. Nell’89, nonostante ai medici fosse stato proibito di legare le malattie con l’effetto delle radiazioni, era già nato un vitellino con otto zampe!
Il Crollo del Muro di Berlino viene così a iscriversi in una generale prospettiva di declino del regime.
La caduta del Muro sembrò quasi un fatto scontato. Da Chornobyl in poi questa onda di protesta in Ucraina era ormai inarrestabile. Ricordo che i nostri colleghi cechi che si trovavano a quell’epoca a Kyiv ci guardavano quasi increduli: paradossalmente l’atmosfera sembrava più libera anche rispetto a Praga.
Nonostante il regime, che appariva davvero spaventato, cercasse in ogni modo di bloccare l’informazione, i cittadini, grazie anche al ruolo fondamentale di Radio Free Europe, sembravano essere perfettamente al corrente di cosa stava succedendo negli altri paesi del blocco socialista.

Oxana Pachlovska

Oxana Pachlovska

In quell’anno che sconvolse tutta l’Europa Orientale lo scrittore Ivan Drač – sin dagli anni ’60 figura chiave della dissidenza con la poetessa Lina Kostenko e gli intellettuali Vasyl’ Symonenko e Ivan Dzjuba, strenui oppositori dei diktat ideologici del realismo socialista e della russificazione della vita pubblica – fonda il Narodnyj Ruch (Movimento popolare).
Movimento di opposizione, i cui fini erano quelli di dare vita ad uno stato democratico e di proteggere le minoranze, il Ruch getterà le basi di un processo politico irreversibile che porterà nel 1991 all’indipendenza.
Per i dissidenti ucraini, gli intellettuali degli anni Sessanta – sottolinea la Pachlovska – l’89 fu il logico coronamento di una lotta che durava ormai da un trentennio
Molti di loro, in particolare Lina Kostenko e Ivan Dzjuba erano in prima linea nel denunciare le atrocità del regime sin da metà anni ’60.
Lina Kostenko fu praticamente l’unica in Ucraina a protestare nel 1968 contro l’invasione sovietica in Cecoslovacchia. In quegli stessi anni il critico letterario Ivan Dzjuba guidò la manifestazione a Babyn Jar per commemorare le vittime dello sterminio degli ebrei che la propaganda sovietica voleva coprire parlando genericamente di “cittadini sovietici”.
Ma l’evento forse più significativo dell’89 ucraino – a detta di Oxana Pachlovska – fu il funerale del poeta Vasyl’ Stus e quello dei suoi compagni di prigionia Jurij Lytvyn e Oleksa Tychyjv.
Il 19 novembre 1989, le salme dei tre dissidenti, precedentemente seppelliti in Siberia in una tomba senza nome, furono traslate a Kyiv e sepolte con tutti gli onori.
La solenne cerimonia, che rappresentò una sorta di trionfo postumo sul sistema, assunse i contorni di una vera e propria manifestazione della società civile che salutava la fine del socialismo reale.
Per seppellire Stus in Ucraina si dovette chiedere il permesso al Cremlino! Di conseguenza il funerale si trasformò in una potente manifestazione di protesta. La lunghissima processione che andava dalla Chiesa di Santa Sofia al cimitero (Bajkovyj cvyntar), attraversò anche la strada dove c’era la sede del KGB. Qui i manifestanti ricoprirono il marciapiede di candele
Da lontano – prosegue la Pachlovska – sembrava che la sede del KGB avesse preso fuoco”.
Gli uomini del KGB, non ebbero il coraggio di affacciarsi. È stata la prima manifestazione in cui le autorità non osarono distruggere le bandiere color azzurro e giallo (N.d.R. colori nazionali ucraini). La morte del poeta finì per essere più forte di tutti i proclami politici.”
Interrogandosi oggi sull’eredità dell’89 l’accademica ucraina traccia un interessante parallelo con la Rivoluzione Arancione di cinque anni fa.
Il 2004 viene chiamato l’anno della ‘seconda caduta del Muro di Berlino’, questa volta sul territorio sovietico. 1989, 1991 e 2004 sono tutte date importanti per l’Ucraina perché segnano la crescita dell’autocoscienza nazionale in un paese che ha subito maggiormente le devastazioni prodotte dal sistema sovietico”.
Ma il 2004 – conclude la Pachlovska – è forse l’anno più significativo perché per la prima volta si lottava per la libertà e per l’Europa per dirla con Kundera”.

Massimiliano Di Pasquale