Ucraina terra di confine nuova edizione agosto 2022

Dieci anni fa, una piccola ma valente casa editrice abruzzese, Il Sirente, ebbe il coraggio di scommettere su un autore agli esordi, Massimiliano Di Pasquale, e su un luogo, l’Ucraina, pressoché sconosciuto al pubblico italiano.

Ucraina terra di confine. Viaggi nell’Europa Sconosciuta, uscito in concomitanza con Euro 2012 il campionato europeo di calcio organizzato da Polonia e Ucraina, si rivelò, contro ogni previsione, un piccolo caso editoriale.

Quando un anno più tardi, nel novembre 2013, scoppiò a Kyiv la protesta di piazza conosciuta come Euromaidan, che poi originò l’occupazione russa della Crimea e l’inizio in Donbas di un conflitto che da 8 anni vede contrapposti un Paese che rivendica la propria indipendenza e appartenenza al mondo liberale e democratico dell’Europa e un altro, incapace di riformarsi perché culturalmente alieno ai concetti di libertà, democrazia e rule of law, che usa la forza e la violenza per ricostituire un Impero dissoltosi più di 30 anni fa, il libro di Di Pasquale era l’unico testo a disposizione dei lettori italiani desiderosi di capire ciò che stava accadendo in questa lontana provincia “russa”.

Oggi a una decade di distanza la Gaspari Editore di Udine dà alle stampe una nuova edizione di Ucraina Terra di Confine che al testo originario affianca quattro nuovi capitoli e un inserto fotografico a colori di 32 foto realizzate dall’autore in quasi 20 anni di viaggi in Ucraina.

Tre sono reportage legati ai luoghi della guerra, in particolare quelli relativi a Horlivka e a Chernihiv, città che seppure in modo diverso hanno patito sulla pelle dei propri abitanti la sedicente “denazificazione” del Cremlino con il suo contorno di morte, distruzione, stupri e deportazioni.

Il quarto capitolo, intitolato La guerra di Putin all’Occidente, è un breve saggio che esamina cause e conseguenze del conflitto in atto con un’attenzione particolare al tema della guerra ibrida e della disinformazione, concetti chiave per comprendere la portata dell’attacco della Russia di Putin al mondo democraticooccidentale.

In anteprima su Gli Stati Generali la nuova prefazione del libro curata dalla giornalista e saggista Anna Zafesova (Il libro, già prenotabile su Amazon, sarà disponibile a partire dal 19 agosto).

Fino a pochi mesi fa, la maggior parte degli italiani non sapeva nulla dell’Ucraina, tranne che è il posto dal quale vengono le badanti e Andriy Shevchenko. Oggi, tutti conoscono Mariupol e la sua tragedia, e la televisione mostra cartine dettagliate di Bucha, Irpin e altri sobborghi di Kyiv dove i soldati russi hanno fattoripiombare l’Europa nell’incubo del genocidio che contava di non dover mai più rivivere. La guerra lanciata dalla Russia ha svelato all’opinione pubblica occidentale un Paese sorprendente: il coraggio del suo Presidente liquidato fino a quel momento come “comico”, l’eroismo e la bravura dei soldati della sua resistenza, lasolidarietà e l’orgoglio dei suoi abitanti, la preparazione della sua classe politica che ha mostrato al mondo volti giovani e moderni, tra cui molti volti femminili. Il luogo comune di un Paese piccolo, povero, ma soprattutto lontano, in ogni senso, si è infranto contro i panorami di metropoli moderne e città storiche, di fabbrichegigantesche trasformate in roccaforti della resistenza, come l’ormai leggendaria acciaieria Azovstal, e di metropolitane monumentali diventate rifugio dai bombardamenti per migliaia di cittadini, e chi profetizzava una rapida disfatta si è  trovato di fronte a una potenza militare che ha mandato a picco l’ammiraglia della flotta russa.

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La scoperta che l’Ucraina fosse il più esteso Paese dell’Europa ha ribaltato le gerarchie di un certo immaginario del mondo “extracomunitario” per chi non aveva ancora realizzato bene la geografia lasciata dal collasso dell’Impero sovietico. Gli ucraini avrebbero preferito un altro modo per entrare in Europa, ma èstata la guerra più crudele dopo il 1945 a sconvolgere la mappadel continente, facendo emergere un Paese che già nel 2014 aveva fatto una rivoluzione in piazza sotto le bandiere dell’UE. Massimiliano Di Pasquale fa parte da anni di quello sparuto gruppo di esperti italiani che l’Ucraina l’hanno studiata e presa sul serio, convinti che sarebbe stata un Paese cruciale per le sorti europee, e che nel laboratorio politico di Kyiv si stava elaborandoquell’antidoto alle dittature postsovietiche che non a caso Vladimir Putin ha ritenuto necessario annientare prima che venisse esportato a Est. Il suo libro colma una lacuna impossibile – sugli scaffali delle librerie italiane manca tuttora un volume che racconti l’Ucraina contemporanea, perfino l’unica guida turistica èormai fuori catalogo da anni – e propone al lettore un viaggio in un Paese che era sorprendente ancora prima di sorprendere tutti. È un libro di viaggio, appunto, in una tradizione piacevolmente classica, che però – pur essendo stato scritto qualche anno fa – diventa oggi un documento prezioso per capire l’attualità. Perché Di Pasquale racconta l’Ucraina non come un luogo “esotico”, ma come una terra che, seppure “di confine”, appartiene alla nostra storia, ha condiviso con noi pezzi di passato, dai greci antichi ai genovesi. Che è terra di sontuoso barocco e di algide architetturedell’avanguardia, di cattedrali bizantine e castelli medievali, che èla patria di un calcio leggendario e di scienziati rivoluzionari. Che, sfidando il mito dell’imperialismo culturale russo, Nikolai Gogol, prima di scrivere Le anime morte, parlava ucraino e aveva immortalato nei suoi racconti la magia della campagna ucraina piùarchetipica. Che il primo capolavoro di Bulgakov, Guardia bianca, è ambientato nella sua natìa Kyiv, la Città come la chiamano tuttora i suoi abitanti, che ne è protagonista a pieno titolo. Che venivano dall’Ucraina l’inventore della chirurgia militare Nikolai Pirogov e quello dei viaggi spaziali Sergei Korolev. Che metà di Hollywood e di Wall Street (oltre che della letteratura e dello spettacolo sovietici) vengono da Odessa, la città della famosa scalinata della Corazzata Potemkin, fondata da uno spagnolo di (oscure) origini napoletane. E che anche metàdell’economia moderna è stata inventata da geni nati negli shtetlucraini, gli stessi dove il protagonista di Ogni cosa e illuminata di Safran Foer va alla ricerca di un passato cancellato, ma ancora vivo, nonostante tutto.

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Un passato che aiuta a capire perché, unico Stato dell’ex URSS (oltre ai tre Paesi Baltici già rientrati in Europa) ad essere rimasto per tutti i trent’anni dell’indipendenza una democrazia, l’Ucraina sia riuscita a produrre gli anticorpi al suo passato totalitario. Anticorpi attinti da influenze europee, dagli echi del Rinascimento arrivati attraverso la Polonia, dalla tradizione libertaria cosacca, dalla convivenza tra diverse culture e religioni, ma anche dall’assenza, in una parte cospicua del territorio storico, della servitù della gleba che ha devastato per secoli lo sviluppo russo. Un libro fondamentale per smentire lo stereotipo dell’Ucraina come “piccola Russia”, e comprendere come mai, in soli trent’anni, da quella che era sembrata (e continua a sembrare al Cremlino) una colonia diventata indipendente per caso e per errore della storia, nel cuore del Vecchio Continente sia nata una nazione giovane, ma già matura, che ha rigenerato l’idea stessa dell’Europa.

Oggi che l’Ucraina è tornata in cima al dibattito internazionale per la sua tormentata strada di emancipazione post coloniale, questo libro diventa una guida preziosa a una terra vicina quantosconosciuta. È un diario di viaggio che racconta in flash vividi e attraverso personaggi diversi un Paese grande e incredibilmente vario. Dai fasti mitteleuropei della Leopoli ancora nostalgica degli Asburgo, con l’intero centro storico dichiarato patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, ai palazzi dei khan tatari nella Crimea annessa e saccheggiata dai russi anche della sua memoria, dai santuari dell’ebraismo più mistico di Uman a quelli della chiesa ortodossa che coronano di cupole d’oro Kyiv, dalle distese di Zaporizhzhya dove i cosacchi combattevano i turchi, alle campagne che ancora ricordano la terribile carestia staliniana, il Holodomor che la Russia ancora oggi si rifiuta di ammettere non solo come sua colpa politica, ma perfino come fatto storico. La storia è stata un fronte della guerra con Mosca ancora prima delle bombe, tra una Russia nostalgica ossessionata dall’imporre la propria visione del passato anche a colpi di missili, e un’Ucraina che dal recupero delle sue radici ha tratto un’idea di futuro europeo. Il viaggio di Di Pasquale si snoda dalle industrie di Dnipro, dove si costruivano i missili nucleari sovietici (e dove oggi esiste una delle più fiere tradizioni di orgoglio nazionale ucraino, che parla russo quanto il vicino Donbas nostalgico dei minatori di Stakhanov), al melting pot culturale, etnico e commerciale di Odessa, il porto di quello che era ed è tornato a essere il “granaio d’Europa”, alla roccaforte militare di Sebastopoli, una città fondata dalla e sulla guerra, alle cantine dei vini pregiati dello zar a Massandra (la più grande del mondo), in una avvincente panoramica di un luogo dove sono nati e passati conti polacchi e giannizzeri turchi, rabbini taumaturghi e santi ortodossi, scrittori mitteleuropei e inventori sovietici, architettiitaliani del Rinascimento e spietati commissari della Cheka che sterminavano i contadini per un sacco di grano. Dove si sono consumate grandi tragedie come la Shoah e Chornobyl, e dove oggi una nazione con una grande storia si è inventata e si ècostruita un futuro per il quale è pronta a combattere. Un Paese dalle molteplici anime, che contiene e coltiva differenze linguistiche, religiose, politiche ed etniche, unite però da una idea di indipendenza forgiata dalle bombe russe quanto dal sogno europeo. Di Pasquale fornisce un quadro rapido e fedele delle tormentate vicende politiche degli ultimi anni, ma forse è prezioso soprattutto come racconto della vita di un Paese, della sua storia, dei suoi paesaggi, con le voci dei suoi abitanti che parlano del loro passato e del loro presente, della ricerca di un’identità e della loroesperienza sulle rovine di un Impero ancora in convulsioni, in testimonianze vive e contraddittorie. Voci da ascoltare per capire il fenomeno ucraino, e per innamorarsi di un Paese che finalmente riconosciamo, con colpevole ritardo, una terra di confine che però si trova dal nostro lato della storia.

Pubblicato in esclusiva su Gli Stati Generali il 6 agosto 2022

Abbecedario Ucraino

Il mio prossimo libro si chiamerà Abbecedario Ucraino e uscirà per Gaspari Editore nel 2018

Perché un nuovo libro sull’Ucraina?

Abbecedario Ucraino nasce dall’esigenza, sempre più urgente dopo il Maidan di Kyiv, di raccontare agli italiani l’Ucraina e le complesse vicende storiche, culturali e politiche alla base dell’attuale conflitto con la  Russia.  Il libro, avvalendosi di un particolare registro letterario che compendia al suo interno l’articolo giornalistico, l’analisi geopolitica, il ritratto politico e il reportage, vuole far conoscere al pubblico italiano la storia e la cultura dell’Ucraina ed alcune questioni chiave. Particolare attenzione è dedicata a temi quali la Crimea, il nazionalismo ucraino, che sono stati oggetto di campagne di disinformazione da parte di molti media italiani acriticamente allineati con le versioni moscovite dei fatti, degli eventi e della storia dell’Ucraina. Dalla A di Rinat Akhmetov alla Z di Serhiy Zhadan passando per la M di Ivan Mazepa, la S di Taras Shevchenko e la Y di Viktor Yanukovych, Abbecedario Ucraino racconta con uno stile vivace, brillante, ricco di riferimenti storici e culturali tutto ciò che gli italiani devono sapere di questa straordinaria terra di confine che con la Rivoluzione della Dignità ha testimoniato la volontà di lasciarsi alle spalle l’epoca post-sovietica per aprire una nuova fase di rigenerazione morale.

 

 

Massimiliano Di Pasquale

 

Ucraina: le porte d’Europa

Nel breve arco di qualche settimana – il volume è uscito in libreria lo scorso dicembre – The Gates of Europe, saggio di Serhii Plokhy, docente di Storia Ucraina ad Harvard e direttore dell’Istituto di Ricerca Ucraina presso la stessa Università, che ripercorre più di mille anni di storia del Paese, è già diventato un classico dell’ucrainistica.
Il libro, che ha ricevuto le lodi pubbliche sia dell’ex ambasciatore statunitense a Kyiv John Herbst sia dell’accademico inglese Andrew Wilson, professore di Studi Ucraini all’University College di Londra, è lettura imprescindibile per chi voglia approfondire alcune fondamentali questioni emerse in tutta la loro drammaticità nel recente conflitto tra Russia e Ucraina.
Come sottolinea l’autore nelle pagine introduttive, le immagini del febbraio 2014 relative ai cecchini del governo Azarov che aprono il fuoco sulla folla di dimostranti in Maidan Nezalezhnosti a Kyiv uccidendo e ferendo decine di manifestanti filoeuropei, hanno scioccato il mondo e prodotto un punto di discontinuità nella storia europea degli ultimi venticinque anni le cui conseguenze sono destinate ad influenzare non solo i rapporti tra Russia e Ucraina, ma il futuro dell’Europa così come l’abbiamo conosciuta dal crollo del Muro di Berlino ad oggi.
L’annessione della Crimea alla Federazione Russa del marzo 2014, la guerra ibrida in Donbas e l’abbattimento il 17 luglio 2014 nell’oblast di Donetsk da parte dei separatisti filo-russi dell’aereo della Malaysian airlines, che ha causato la morte di 298 persone, hanno trasformato la guerra russo-ucraina in un conflitto dalle dimensioni internazionali.
Il ritorno a una Nuova Guerra Fredda con l’avvento di un neo-imperialismo russo, come già preconizzato da Edward Lucas nel 2007, non è dunque una provocazione intellettuale “per umiliare la Russia di Putin” come scrisse con una certa impudenza l’ex ambasciatore Sergio Romano, ma una realtà con cui occorre fare i conti.

Cosa ha causato la crisi ucraina? Qual è il ruolo della storia in questi eventi recenti? Cosa differenzia gli ucraini dai russi? Chi ha diritto di governare in Crimea e nell’Ucraina orientale? Perché gli avvenimenti in Ucraina hanno forti ripercussioni internazionali?
Il libro di Plokhy cerca di rispondere a questi interrogativi andando alla radice di molti degli attuali problemi, nella speranza “che la storia possa fornire chiavi di lettura per il presente e influenzare il futuro”.
Passando in rassegna, in un volume di “sole” 395 pagine, più di un millennio di storia – dai tempi di Erodoto, (il primo storico a fornire le tre fondamentali direttrici geografiche dell’Ucraina, tuttora valide, da sud a nord rispettivamente costa della Crimea, cuore centrale della steppa e foreste del nord), fino alla recente guerra in Donbas – l’accademico di Harvard, da valente studioso, sceglie con cura gli eventi su cui approfondire la propria indagine.
Per Plokhy, la cui narrazione compendia al suo interno l’approccio hrushevskyano (Mykhailo Hrushevsky è stato il fondatore della moderna storiografia ucraina ed è lo storico cui è intitolato l’Istituto di Ricerca di Harvard di cui Plokhy è l’attuale Direttore) e i moderni approcci transnazionali che enfatizzano il carattere multietnico dello stato ucraino, centrale è il concetto di Europa.
Il libro, il cui titolo, Le porte d’Europa, è ovviamente una metafora “ma da non prendere alla leggera o da liquidare come una trovata di marketing”, mette infatti in evidenza come “l’Europa è una parte importante della storia ucraina” e al contempo “l’Ucraina è parte della storia dell’Europa”. “Situata al margine occidentale della steppa eurasiatica, l’Ucraina è stata per molti secoli porta d’ingresso per l’Europa. A volte, quando le “porte” erano chiuse a causa di guerre e conflitti, l’Ucraina ha contribuito a fermare le invasioni straniere da est e da ovest; quando erano aperte, come è avvenuto per la maggior parte della storia dell’Ucraina, è servita come ponte tra l’Europa e l’Eurasia, facilitando lo scambio di persone, beni e idee.”
Altrettanto importante, accanto a quella di “europeità”, ai fini dell’analisi storica, è la categoria di nazione. “Nazione è un’importante – sebbene non dominante – categoria di analisi ed elemento della storia che, insieme con l’idea d’Europa in continua evoluzione, definisce la natura di questo lavoro. Questo libro racconta la storia dell’Ucraina entro i confini definiti dagli etnografi e dai cartografi della fine del XIX e l’inizio del XX secolo, che spesso (ma non sempre) coincidono con le frontiere dello Stato Ucraino attuale”.
Il saggio di Plokhy nel definire il suo campo d’indagine fa proprie le coordinate geografiche dello storico greco Erodoto sopra ricordate e, pur nella consapevolezza che “la politica internazionale e nazionale forniscono una trama convincente”, considera la geografia, l’ecologia e la cultura i tre fattori fondamentali per leggere gli avvenimenti storici del Paese.
L’Ucraina contemporanea, considerata dal punto di vista delle tendenze culturali di lungo periodo, è un prodotto dell’interazione di due frontiere in movimento, una delimitata dalla linea tra le steppe eurasiatiche e i parchi dell’Europa orientale, l’altra definita dalla frontiera tra Cristianesimo orientale e occidentale. La prima frontiera era anche quella tra popolazioni sedentarie e nomadi e, alla fine, tra Cristianesimo e Islam. La seconda risale alla divisione dell’impero romano tra Roma e Costantinopoli e segna le differenze di cultura politica tra Europa orientale e occidentale che esistono ancora oggi”.
A detta dell’accademico statunitense l’identità dell’Ucraina attuale deriva “dal movimento di queste frontiere nel corso dei secoli”. Tale movimento “ha dato origine a un insieme unico di caratteristiche culturali che costituiscono le fondamenta dell’identità ucraina odierna”.
Questi dunque gli assunti teorici di un lavoro di grande portata il cui maggior pregio, oltre alla chiarezza e alla brillantezza della prosa, è quello di riuscire ad individuare nella millenaria storia dell’Ucraina alcuni passaggi chiave che ancora oggi influenzano con la loro eredità politico-culturale le vicende del Paese.
Di grande interesse le pagine relative all’Ucraina cosacca – Plokhy è un esperto di storia cosacca (The Cossacks and Religion in Early Modern Ukraine; Tsars and Cossacks: A Study in Iconography; The Cossack Myth History and Nationhood in the Age of Empires) – e quelle dedicate al complesso rapporto tra élite ucraine e russe ai tempi dell’Unione Sovietica.
Entrambi i campi d’indagine, sia quello dell’eredità cosacca – le centurie presenti sul Maidan di Kyiv sono espressione di tale legacy storica – sia quello della dialettica di potere tra russi e ucraini nella defunta URSS – cui si deve tra le altre cose la nascita dei clan di Dnipropetrovsk e di Donetsk, che tanto peso hanno avuto nella storia dell’Ucraina indipendente – risultano illuminanti per comprendere molti dei problemi attuali.

Massimiliano Di Pasquale

Serhii Plokhy The Gates of Europe. A History of Ukraine Basic Books, 2015.

Alcune considerazioni sul conflitto in Ucraina a due anni dal Maidan

Quella scoppiata in Ucraina due anni or sono in seguito alle dimostrazioni di Piazza iniziate il 21 novembre 2013 a Kyiv, è stata la più grave crisi nell’area post sovietica dal crollo dell’URSS.
Euromaidan, la rivolta popolare che ha sconfitto il regime cleptocratico di Yanukovych, pur avendo come epicentro Kyiv, è stata una rivoluzione che ha interessato l’intero Paese. Una rivoluzione, giustamente definita Rivoluzione della Dignità, che ha testimoniato la volontà del popolo ucraino di lasciarsi alle spalle l’epoca post-sovietica e il desiderio di aprire una nuova fase, quella della rigenerazione morale. Questo ambizioso tentativo ha dovuto però fare i conti con l’ostilità di Mosca nel fermare ad ogni costo un progetto che, se vittorioso, avrebbe messo in serio pericolo il modello autocratico putiniano e fornito linfa vitale alla debole opposizione democratica russa.
E infatti, cinque giorni dopo la destituzione di Yanukovych avvenuta il 22 febbraio 2014, Putin ha inviato il primo contingente militare in Crimea, annettendo de facto, in data 16 marzo, la penisola ucraina alla Federazione Russa attraverso un ‘referendum’, imposto con uso della forza, brogli, intimidazioni e in violazione del Memorandum di Budapest del 1994.
Con quell’accordo, firmato il 5 dicembre 1994 nella capitale ungherese, l’Ucraina cedeva il suo arsenale nucleare in cambio della garanzia della tutela della sua sovranità e sicurezza da parte di Gran Bretagna, Russia e Stati Uniti.
La timida risposta di UE e Stati Uniti all’annessione della Crimea è stata l’imposizione di sanzioni economiche nei confronti di Mosca che, seppure efficaci nel medio periodo, non hanno ridotto a più miti consigli l’atteggiamento belligerante del Cremlino.
Dopo l’invasione della Crimea Putin ha infatti inviato militari e truppe di irregolari (kadirovcy, cetnici serbi e cosacchi del Don) a supporto delle forze separatiste del Donbas aprendo di fatto un fronte di guerra nel profondo Est dell’Ucraina.
Con la nascita delle repubbliche popolari di Luhansk e Donetsk, enclavi russe in territorio ucraino, Mosca persegue la stessa strategia di disintegrazione dell’integrità territoriale attuata in Moldova e Georgia con le enclavi di Transnistria, Abhkazia e Ossezia del Sud.

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Euromaidan

Questa in estrema sintesi la fotografia della crisi ucraina. Oggi in Donbas, nonostante il cessate il fuoco sancito dagli accordi di Minsk, si continua a sparare. Nei giorni scorsi le forze separatiste – milizie armate di tutto punto agli ordini di generali russi, ben diverse da l’esercito partigiano di trattoristi e minatori descritto dalla propaganda russa – hanno infatti ripreso le ostilità bombardando diverse postazioni dell’esercito ucraino, facendo nuove vittime.
Purtroppo il grave attentato di Parigi del 13 novembre ha completamente eliminato dai palinsesti di giornali e televisioni italiani il conflitto tra Mosca e Kyiv.
Ciò corrisponde a una precisa strategia ed è coerente con l’atteggiamento filorusso da sempre imperante nel nostro Paese per tutta una serie di ragioni che richiederebbero una trattazione a parte. Ma torniamo alla guerra in Ucraina.
A distanza di due anni dall’inizio della crisi nessuno in Italia si è preso la briga di spiegare quali siano le radici del conflitto tra Russia e Ucraina. I libri usciti negli ultimi 15-16 mesi su questo argomento, con la parziale eccezione di un instant book peraltro piuttosto breve, differiscono solo per il diverso grado di raffinatezza nel veicolare la versione moscovita dei fatti. Appare evidente che questi non sono libri per comprendere cosa è successo ma veri e propri strumenti di disinformazione.
La pubblicistica anglosassone e canadese – in Canada dove vive la più grande diaspora ucraina esistono sin dai tempi dell’Unione Sovietica Centri Studi dedicati alla storia, alla cultura e alla politica ucraina – si è invece contraddistinta per la pubblicazione di un discreto numero di lavori caratterizzati da un approccio serio e rigoroso. Lavori che lungi dall’essere apologetici verso l’attuale governo di Kyiv hanno altresì l’indubbio merito di sviscerare questioni chiave per comprendere l’Ucraina.
The conflict in Ukraine. What everybody needs to know di Serhy Yekelchik, professore di Storia e di Studi Slavi all’Università di Vittoria in Canada, è un testo agevole dal taglio divulgativo-didattico che ha il pregio di spiegare a tanti neofiti le complesse questioni legate al conflitto con necessari rimandi alla storia dell’Ucraina.
È stato volutamente strutturato sotto forma di domanda e risposta – tipo Chi sono gli oligarchi? Che cosa hanno in comune la Rivoluzione Arancione del 2004 ed Euromaidan? Cosa era la Rus di Kyiv? Chi era Ivan Mazepa? – per renderlo user-friendly o forse sarebbe più corretto dire reader-friendly.
Timothy Snyder, uno dei maggiori storici statunitensi – insegna storia dell’Europa Centrale e dell’Est a Yale – in sede di recensione lo ha definito “un libro che dovrebbe essere sulla scrivania, sul comodino o sul tavolino d’aereo di tutti coloro che stanno cercando di comprendere la questione ucraina e di aiutare l’Europa a risolvere questa grave crisi”.
Mi chiedo se il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni Silveri – che nei giorni scorsi ha chiesto di non prolungare le sanzioni alla Russia, notizia occultata dai media italiani ma rilanciata da un organo di stampa polacca – lo abbia letto. Chissà se il testo di Yekelchik è sul comodino dell’alto rappresentante per la politica estera della UE Federica Mogherini che considera Putin un alleato chiave dell’Occidente per combattere il terrorismo?
Certo è che un libro di questo tipo sarebbe davvero utile in Italia ma dubito verrà mai tradotto nel nostro Paese.

Un altro testo a mio avviso essenziale per comprendere ancor più in dettaglio le origini e le conseguenze della grave crisi tra Russia e Ucraina è Ukraine Crisis. What it means for the West, saggio pubblicato alla fine dello scorso anno da Andrew Wilson. Wilson, uno dei maggiori esperti europei di società e politica ucraina, già autore di diversi volumi su questo Paese – ricordiamo tra gli altri The Ukrainians. Unexpected Nation – compie un’analisi davvero illuminante sulle origini del conflitto in corso analizzandolo da molteplici angolazioni.
A tal proposito vorrei soffermarmi in maniera più dettagliata su quello che considero forse il capitolo più interessante del libro di Wilson, libro di cui consiglio vivamente la lettura a chi ha dimestichezza con l’inglese.
Il capitolo in questione si intitola Russia Putinesca e ricostruisce con estremo rigore filologico il modello di governo putiniano e la sua concezione geopolitica indagando alcuni avvenimenti della recente storia russa e ucraina che risulteranno ex post fondamentali per comprendere come e perché il Cremlino abbia potuto mobilitare tante risorse finanziarie per questa guerra ibrida contro l’Ucraina e l’Occidente.
Per capire cosa sia successo occorre tornare indietro di 12 anni al biennio 2003-2004 a due vicende di cui avrete sicuramente sentito parlare.
Parlo del caso Yukos e della Rivoluzione Arancione.
Iniziamo dalla Yukos.

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Khodorkovsky

A metà anni Novanta Khodorkovsky, un ex attivista del Komsomol, che già all’epoca della perestrojka aveva fondato una banca, la Menatep, e si era distinto per una notevole vivacità imprenditoriale, entra in possesso della Yukos, una conglomerata impegnata nella produzione di petrolio. Superata la grave crisi finanziaria russa del 1998 la Yukos, che era stata sull’orlo della bancarotta, avvia una profonda ristrutturazione aziendale. Grazie alla ripresa economica e all’aumento del prezzo del petrolio l’azienda diventa una delle imprese più floride della Russia e Khodorkovsky uno degli uomini più ricchi del Paese.
Ma improvvisamente il 25 ottobre 2003 Khodorkovsky viene arrestato per frode fiscale. La Yukos in breve tempo perde gran parte del suo valore in borsa, finché – a un anno dalla condanna a nove anni di carcere di Khodorkovsky, avvenuta nel 2005 – finisce in bancarotta e i suoi asset più importanti vengono rilevati dalla compagnia di stato Rosneft. La più grande compagnia privata russa finisce nelle mani dello stato, ossia degli uomini del circolo magico di Putin.
Nel 2010 Khodorkovsky viene condannato per appropriazione indebita e riciclaggio di denaro ad altri sette anni di carcere. Verrà poi amnistiato e rilasciato nel dicembre 2013. Il suo processo viene considerato dalla maggior parte degli analisti e dei media internazionali un processo politico, orchestrato da Vladimir Putin per sbarazzarsi di uno degli uomini più potenti del paese. Prima di finire in carcere, l’oligarca russo aveva infatti apertamente criticato lo stato di corruzione in cui versava la Federazione Russa.
Gran parte del cash flow della Yukos – spiega Wilson nel suo libro – verrà utilizzato negli anni successivi da Mosca per oliare una formidabile macchina da guerra mediatica capace di penetrare redazioni di influenti giornali europei, centri di cultura russa nelle principali capitali del Vecchio Continente e partiti anti-europei ed euro-scettici appartenenti in egual misura alla galassia dell’estrema destra, quanto dell’estrema sinistra.
Sarà compito degli storici nei prossimi anni scrivere la seconda parte de l’Oro da Mosca – Oro da Mosca è un libro scritto dal giornalista Valerio Riva che trattava dei finanziamenti sovietici al PCI, dalla Rivoluzione d’Ottobre al crollo dell’Urss – per documentare il flusso di rubli arrivato nell’ultimo decennio in Europa sui conti correnti di partiti politici, riviste e quotidiani, fondazioni culturali italo-russe, ex-ambasciatori, docenti universitari etc.
Ma torniamo al 2004 e spostiamoci a Kyiv dove a novembre scoppia la Rivoluzione Arancione. Migliaia di manifestanti si radunano in Piazza Indipendenza, la stessa che 9 anni più tardi sarà il teatro principale di Euromaidan, per chiedere la ripetizione del voto delle elezioni presidenziali che vede opposti il candidato di Mosca Viktor Yanukovych e il candidato dell’opposizione filoeuropea Viktor Yushchenko.
I sostenitori di Yushchenko denunciano l’esistenza di pesanti brogli elettorali – metodo del carosello (schede già compilate), verbali falsi (aggiunta di preferenze a un candidato e sottrazione all’altro), voto a domicilio per presunte malattie – per far vincere Viktor Yanukovych. Le proteste dei cittadini sortiscono il loro effetto e il 3 dicembre la Corte Suprema Ucraina, accogliendo la tesi del candidato dell’opposizione Yushchenko, annulla la consultazione del 21 novembre e ordina la ripetizione del ballottaggio per il 26 dicembre che vedrà vincitore Yushchenko.
Definita dai politologi come una continuazione delle “Rivoluzioni di velluto” del 1989 o ancora, come la seconda caduta del Muro di Berlino, la Rivoluzione Arancione proprio per il suo carattere pacifico e determinato di rivolta popolare rappresenta un autentico incubo per Putin che teme che uno scenario simile possa replicarsi in Russia.
Gli ucraini scesi in Piazza nel novembre 2004 chiedono per il proprio paese elezioni libere e un orizzonte inequivocabilmente europeo. E soprattutto si oppongono alle corrotte democrature imposte dal Cremlino a tutti gli stati dell’ex Unione Sovietica, ad eccezione dei Baltici sin dal 2004 ancorati alla UE e alla NATO.
Da questo preciso momento lo scenario post-sovietico muta radicalmente.
L’orso russo che sembrava sopito nei primi anni della presidenza Putin si sveglia improvvisamente e inizia a pianificare la riconquista dello spazio ex sovietico. Uno spazio che Mosca rivendica a sé in barba alla sovranità nazionale di altri stati, al diritto internazionale e alla volontà popolare di cittadini che rivendicano un sentiero di sviluppo democratico caratterizzato da elezioni libere e trasparenti e libertà di stampa come nelle democrazie occidentali.
Wilson spiega in dettaglio i meccanismi attraverso cui prende piede e si sviluppa questo disegno neoimperiale che culminerà nella cruenta guerra in Ucraina. Una guerra che secondo recenti dati dell’ONU ha già fatto più di 9.000 morti e 20.000 feriti!
Il breve conflitto dell’agosto 2008 in Georgia può essere considerato a tutti gli effetti una prova generale di una guerra più ampia. Una guerra ibrida combattuta con diverse armi: azioni militari, terrorismo, disinformazione e cyber terrorismo. Emblematici in tal senso gli attacchi hacker subiti dai siti internet di governo, banche e aziende estoni all’indomani della rimozione per motivi di ordine pubblico da parte del governo estone, il 26 aprile 2007, di una statua di bronzo dedicata a un soldato dell’Armata Rossa.

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La disinformazione, in russo disinformacija, e i canali e le modalità con cui è stata veicolata in questi anni meritano una disamina puntuale.
Centrale è il concetto di geopolitica. O meglio il concetto di geopolitica elaborato dal Cremlino tramite consulenti quali Vitaly Tretiakov – collaboratore della rivista italiana Limes – e Aleksandr Dugin, teorico dell’Eurasia fervente ammiratore di Stalin e di Hitler.
Secondo tale concezione i piccoli stati non avrebbero alcun diritto alla propria sovranità dal momento che la sovranità dipende dalla forza, non dal diritto di internazionale.
Il diritto internazionale per Dugin è una sovrastruttura di quell’Occidente tanto odiato e disprezzato che lui vorrebbe distruggere alleandosi, se necessario, anche con il mondo islamico, per dar vita a un impero euroasiatica che unisca Vladivostok a Lisbona.
Questa singolare concezione della geopolitica, intesa come rapporto di forza, concezione che ricorda da vicino le idee del nazionalsocialismo hitleriano, è stata propagandata in Italia anche da riviste reputate autorevoli come Limes. A partire dal 2008 con il numero 3 intitolato Progetto Russia la rivista diretta da Lucio Caracciolo, creando non pochi imbarazzi a qualche autorevole membro del suo comitato scientifico, ha iniziato a presentare ai suoi lettori piantine con un’Ucraina smembrata in varie zone e articoli dagli eloquenti titoli Come smembrare Ucraina e Georgia.
Questa idea di geopolitica è la stessa – sottolinea Wilson – che ritroviamo nel discorso pronunciato da Putin nel marzo 2014 per celebrare l’occupazione e successiva annessione della Crimea all’interno della Federazione Russa.
La Crimea rappresenta la nostra tradizione storica. La Crimea è un importante fattore di stabilità nella regione. E questo territorio strategico deve appartenere a uno stato forte e stabile che oggi può essere solo la Russia”.

terra nera

Lo storico Timothy Snyder nel suo ultimo saggio Terra Nera. L’olocausto tra Storia e Presente sottolinea l’estrema gravità dello scenario attuale paragonandolo all’Europa del Patto Molotov-Ribbentrop.
Nelle conclusioni finale del libro l’accademico statunitense scrive con grande acume e lucidità : “Inaugurata nel 2013 una nuova fase coloniale, i leader e i propagandisti russi hanno negato ai loro vicini ucraini il diritto di esistere o li hanno etichettati come russi di second’ordine. Con parole che ricordano quelle pronunciate da Hitler sugli ucraini (e sui russi), le autorità hanno definito l’Ucraina un’entità creata artificialmente, senza storia, cultura né lingua, appoggiata da un gruppo mondiale di ebrei, omosessuali, europei e americani. Nella guerra russa contro l’Ucraina che questa retorica avrebbe dovuto giustificare, i primi vantaggi sono stati i giacimenti di gas naturale nel Mar Nero, vicino alla penisola della Crimea, che la Russia ha invaso e annesso nel 2014. Il terreno fertile dell’Ucraina continentale, la sua terra nera, rende la regione un esportatore primario di cibo, cosa che non si può dire della Russia.
Il presidente Vladimir Putin ha elaborato una dottrina di politica estera basata sulla guerra etnica. Questo approccio, che ricava dal linguaggio la legittimità a invadere a prescindere che sia stato usato in Cecoslovacchia da Hitler o in Ucraina da Putin, decostruisce le logiche della sovranità nazionale e dei diritti e getta le basi per lo smantellamento degli Stati. Trasforma entità statali riconosciute in bersagli di aggressione volontarie e gli individui in oggetti etnici i cui presunti interessi sono determinati da altri paesi. Putin si è messo a capo delle forze populiste, fasciste e neonaziste presenti in Europa. Impegnata a dar sostegno ai politici che incolpano gli ebrei dei problemi planetari e a sperimentare tecniche di distruzione statale, Mosca ha nel frattempo creato un nuovo capro espiatorio globale: gli omosessuali. Questa nuova idea di una “lobby gay” responsabile della decadenza del mondo non è più sensata della vecchia idea nazista di una “lobby ebraica” colpevole dello stesso male, eppure ha già cominciato a farsi spazio nel mondo”.

Massimiliano Di Pasquale

 

“Fratello contro fratello”, l’incubo orwelliano della disinformacija nostrana

Quando abbiamo saputo che sabato 21 febbraio la RAI2 avrebbe mandato in onda un reportage sulla guerra in Ucraina non c’eravamo fatti troppe illusioni. Che la tv di stato italiana potesse confezionare un reportage in stile BBC in cui le profonde questioni legate alla guerra in Ucraina venissero affrontate in prospettiva storica, con riferimenti puntuali e offrendo il punto di vista di entrambe le fazioni non ce l’aspettavamo di certo visto il livello di mediocrità dei media autoctoni, ma che si arrivasse a trasmettere su RAI2, canale televisivo pagato con il canone dei contribuenti la cui mission (teorica) è quella di informare e di fare servizio pubblico, un dossier come quello firmato da Andrea Sceresini e Lorenzo Giroffi questo non l’avevamo immaginato neanche nel peggiore degli incubi.

Uso non a caso la parola incubo perché quello andato in onda sabato scorso è un esercizio di manipolazione della realtà che andrebbe mostrato a tutti gli aspiranti giornalisti come esempio di cosa significhi distorcere la verità, usando e tagliando interviste e testimonianze, al fine di creare una “realtà altra” molto vicina all’incubo orwelliano di 1984.

Sarebbe interessante rivedere questo reportage per analizzarlo puntualmente in tutte le sue distorsioni.

Mi limiterò in questa sede a fare alcune considerazioni di massima frutto degli appunti che ho annotato mentre guardavo questa vergognosa pagina di disinformazione televisiva.

Partiamo dal titolo. Un titolo che già nella sua formulazione tradisce l’intento manipolatorio di un video che, lungi dall’essere un reportage, è un film a tesi. La tesi è che in Ucraina vi sia stato un colpo di stato da parte di “forze fasciste” e che i patrioti del Donbas, poveri minatori e trattoristi, pressoché sprovvisti di armi, si stanno opponendo con tutte le forze a questo disegno egemonico imperialista-nazista e sono costretti a uccidere i propri fratelli per il bene del loro paese!!

Intitolare questo video “Fratello contro fratello” significa in primis veicolare un messaggio forte e menzognero ossia in Ucraina c’è una guerra civile. Niente di più falso.

Se partiamo dalla definizione di guerra civile come “conflitto armato di vaste proporzioni, nel quale le parti belligeranti sono costituite da persone appartenenti alla popolazione di un unico Stato” è ben chiaro a tutti che quella che si sta combattendo in Ucraina non è una guerra civile ma una guerra tra ucraini e milizie mercenarie inviate da Mosca.

Negare questa evidenza come fa il “reportage” (le virgolette sono d’obbligo in questo caso) di Sceresini e Giroffi significa negare ciò che la stessa Unione Europea ha ufficialmente riconosciuto e che è stato documentato più volte in video e foto da tanti i paesi democratici: In Donbas ci sono truppe e armamenti che provengono da Mosca.

Patetico anche il tentativo nella prima parte del video di dipingere i cosiddetti separatisti come patrioti male armati e male equipaggiati disposti a immolare la propria vita per opporsi ai “fascisti di Kiev”. Sembra francamente strano che ai due autori sia sfuggita la singolare circostanza che quelli da loro definiti separatisti siano dotati di missili Grad e che uno di loro, Igor Vsevolodovich Girkin, conosciuto anche con il nome di Igor Ivanovich Strelkov, si sia addirittura vantato pubblicamente con un post su twitter di aver abbattuto l’aereo malese nel luglio dello scorsa estate. Che i missili Grad li vendano al mercato di Donetsk?

Ma torniamo al reportage. Dopo l’intervista in trincea a un cosiddetto filorusso, molto probabilmente un mercenario russo visto che la cadenza con cui parlava non è quella del russo che si parla in Donbas, il servizio prosegue con un’intervista a un giornalista-ideologo che, cartina alla mano, spiega che l’Ucraina non esiste e che legittimamente in Donbas si combatte per la ricostituzione della Novorossiya. E che dopo aver conquistato il Donbas – la Crimea è già nostra! – si procederà a liberare Kharkov, Zaporozhye e Odessa dalla piaga fascista-nazionalista.

Ovviamente gli autori di questo “lavoro giornalistico” si guardano bene dall’informare l’ignaro spettatore, che vorrebbe cercare di comprendere cosa sta realmente succedendo in quelle terre orientali, che l’Ucraina è uno stato indipendente dal 1991, che sia il Donbas sia la Crimea hanno votato a favore dell’indipendenza ucraina e che prima del febbraio 2014 la Novorossiya era solo un delirio partorito dalla mente di un certo Dugin per invitare il Cremlino a conquistare l’odiato Occidente.

Neanche un accenno al fatto che nelle settimane scorse sono stati solo 30 su 740 i residenti del Donbas che hanno scelto di lasciare i territori di guerra per riparare in Russia. Come si spiega questa percentuale decisamente bassa con la tesi fatta propria dal reportage che in Donbas la maggioranza della gente vuole vivere e ricongiungersi con la Santa Madre Russia? Forse chi decide di riparare a Kiev e a Leopoli è un sadomasochista che decide di farsi torturare dai famigerati nazisti ucraini?

Quando dopo mezzora circa di bombardamento mediatico e di lavaggio del cervello, condito da messaggi reiterati su fascisti di Kiev, partigiani del Donbas e apologia di uno stato inesistente come la Novorossiya, i due “giornalisti” decidono di occuparsi del fronte opposto, quello ucraino, la scena si sposta a Kiev.

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In una Kiev dove i militanti “fascisti” e “ipernazionalisti” di Svoboda salutano un battaglione di volontari che parte per il fronte.

Ovviamente l’enfasi è su Svoboda, definito partito di nazisti, sui suoi militanti e sulla “giunta” di Kiev. Neanche un accenno al fatto che i vari battaglioni sono composti di volontari di diversa estrazione politico-sociale che affiancano l’esercito regolare, nessun accenno al fatto che Svoboda e Pravyi Sektor, partiti nazionalisti non nazisti, hanno ottenuto consensi elettorali talmente irrisori che non hanno eletto deputati alla Rada, nessun accenno al fatto che le elezioni presidenziali di maggio e quelle parlamentari di ottobre sono state riconosciute internazionalmente come libere, trasparenti e democratiche a differenza dei referendum farlocchi di Luhansk e Donetsk imposti, come in precedenza in Crimea, con le armi.

Una piccola postilla sulla Crimea. Quando i nostri baldi reporter hanno intervistato il giornalista-ideologo della Novorossiya che pontificava sulla russicità della Crimea si sono guardati bene dall’evidenziare la natura multietnica di questa regione e che nel referendum del 16 marzo 2014, imposto con kalashnikov e carri armati, le schede erano già state votate. E questo non lo dice il senatore McCain, falco di Washington, ma lo ha confessato candidamente proprio Strelkov qualche settimana fa in un’intervista a un giornale inglese.

Ai nostri è sfuggita un’altra questione che evidentemente reputano di poco conto, forse il diritto internazionale per questi signori è una sovrastruttura borghese… Mi riferisco alla violazione del memorandum di Budapest del 1994 che garantiva all’Ucraina la sua integrità territoriale in cambio dello smantellamento del suo arsenale nucleare. La Russia, paese che assieme a Gran Bretagna e Stati Uniti aveva firmato quell’accordo, è lo stesso paese che l’ha violato annettendosi la Crimea e invadendo militarmente il Donbas.

Ciliegina sulla torta il finale di questo reportage ossia l’intervista a una donna di Donetsk che afferma con faccia straziante da brava attrice di melodramma, anzi mi verrebbe da dire da opera buffa, “ Ma perché Putin non manda l’esercito? I fascisti ci riempiono di fosforo e missili!!”

Forse occorrerebbe rassicurare la signora che Putin l’esercito l’ha inviato ormai da mesi e che i missili sono già stati lanciati contro la popolazione civile a Kramatorsk, Mariupol e altre città su ordine dello stesso zar.

Ma la verità nell’incubo orwelliano costruito da Andrea Sceresini e Lorenzo Giroffi si chiama falsità, la guerra è pace, 2+2 fa 3. I buoni sono gli assassini e l’antifascismo è quello di Putin e dei suoi seguaci (prezzolati e non).

Massimiliano Di Pasquale

http://www.guerraucraina.it/index.php/home/editoriali/massimiliano-di-pasquale/item/fratello-contro-fratello-l-incubo-orwelliano-della-disinformacija-nostrana-massimiliano-di-pasquale

Riepilogo settimanale degli eventi di guerra in Donbas (2-8 febbraio 2015)

Dana Kuchmash, sulla base dei dati forniti dal gruppo di Resistenza Informativa del giornalista militare Dmytro Tymchuk, ricostruisce ciò che è successo questa settimana nei teatri di guerra del Donbas. Buona lettura (M.D.P)

All’inizio di questa settimana è finita una lunga battaglia durata 8 giorni per la piazza d’armi di Debal’tseve. Come ben sappiamo quasi 2 settimane fa le truppe russo-terroristiche avevano dato inizio ad un’offensiva lungo tutto il perimetro dell’arco di Debal’tseve, tentando di chiudere la “gola” della piazza d’armi, accerchiando in questo modo i militari ucraini. Tuttavia questa offensiva del nemico non ha avuto alcun successo, a causa dell’operazione difensiva esemplare da parte delle truppe ucraine. Tale operazione è stata la prima ben organizzata e ben eseguita da parte delle unità ucraine dall’inizio della guerra russo-ucraino.
Dello svolgimento di questa battaglia si può leggere nell’articolo del redattore capo di Censor.net Yuriy Butusov
http://ucraina-ucraini-in-italia.webnode.com.ua/news/larco-di-debaltseve-le-truppe-ucraine-dopo-8-giorni-di-scontri-hanno-respinto-con-successo-gli-attacchi-delle-brigate-russe/
Nonostante le continue dichiarazioni false della propaganda russa riguardo ai risultati dei combattimenti nella zona di piazza d’armi di Debal’tseve, i terroristi hanno fallito in tutte le direzioni, subendo significative perdite, che hanno costretto il comando russo-terroristico a sospendere le azioni offensive. Tuttavia il nemico non demorde, dopo l’insuccesso nelle azione all’arco di Debal’tseve i terroristi svolgono la riorganizzazione delle unità per poter riprendere l’offensiva al più presto possibile. Nella zona vengono mandati i rinforzi, e si tenta di creare una riserva tattica.
All’inizio della settimana nella piazza d’armi di Debal’tseve operavano 4 gruppi tattici. Due gruppi tattici operavano nella direzione di Vuhlehirsk, un gruppo nella direzione di Chornukhyne, e un altro gruppo eseguiva la “pressione” frontale nella direzione da Nykyshyno. In totale, alle azioni di guerra nella piazza d’armi di Debal’tseve al momento partecipavano da parte del nemico circa 3,5 mila uomini, 35 carri armati, circa 90 mezzi corazzati (BBM).
Le azioni dei suddetti 4 gruppi tattici delle truppe russo-terroristiche venivano sostenute dai 3 gruppi di artiglieria (circa 60 pezzi di artiglieria e circa 32 macchine di lanciarazzi multiplo).
Nelle giornate successive sono stati trasferiti verso la zona dell’arco di Debal’tseve dei rinforzi da parte del nemico, ammassando una quantità considerevole dei mezzi da combattimento e della forza viva in questa zona.
Nella zona di località Popasna il nemico ha tentato di continuare l’offensiva. Utilizzando qualche unità dei mezzi corazzati (6 BBM, 2 carri armati) i terroristi hanno attaccato uno dei posti di blocco delle truppe ucraine. L’attacco è stato respinto, un veicolo blindato di fanteria BMP-2 e un’unità degli automezzi dei militanti sono stati distrutti, i terroristi hanno ripiegato sulla linea di partenza. In questa zona il nemico continua a bombardare non solo le postazioni dei militari ucraini ma anche gli impianti civili, provocando numerose vittime tra gli abitanti locali.
Anche nella zona di Donetsk i terroristi hanno continuato a riorganizzare le loro truppe, trasferendo verso questa zona i rinforzi composti dai mezzi di combattimento (inclusi quelli corazzati) e dalla forza viva. In totale questa settimana nell’area di Donetsk sono arrivati seguenti armamenti: 36 carri armati, circa 95 mezzi corazzati BBM, 18 veicoli trasporto truppe BTR e BMP, 26 unità degli obici semoventi MSTA-S, alcuni cannoni anticarro MT-12 e i mortai da 120 mm. Inoltre, nella zona di Donetsk sono presenti circa 3000 terroristi, pronti a svolgere gli attacchi.
A nord da Luhans’k è stato registrato lo spostamento da parte del nemico verso la linea frontale di una batteria anticarro (4 cannoni anticarro MT-12 “Rapira”, 2 dei quali sono trainati da veicolo trasporto truppe MT-LB, e altri 2 sono al rimorchio degli automezzi).
Durante gli ultimi giorni nella zona di località Shchastia alcuni gruppi mobili dei terroristi hanno tentato di attraversare il fiume Siverskyi Donets sotto la copertura del fuoco di mortai. Tuttavia, in tutti i casi i gruppi del nemico sono stati fermati e respinti verso le linee di partenza da parte delle forze dell’artiglieria ucraina.
Nella zona di Dokuchaievsk e Olenivka il nemico cerca di stabilizzare la situazione “al fronte”. In questa zona sono arrivati i rinforzi (6 BBM e 2 unità di mortai). Inoltre, in questa zona è stato avvistato un gruppo tattico delle truppe russo-terroristiche (il gruppo tattico di battaglione, operante in questa zona in precedenza è stato ritirato per il completamento). Il nuovo gruppo è composto da 13 mezzi corazzati BBM (BTR, BMP-1,2, alcuni MT-LB).
Il nemico continua le azioni di guerra anche nella zona del posto di blocco n°29, dove negli ultimi giorni vengono registrati parecchi bombardamenti da parte dell’artiglieria dei terroristi. Il nemico ha tentato di colpire il posto di blocco e le postazioni delle truppe ucraine nei pressi di esso (si notava il fuoco di minimo 3 unità di artiglieria delle truppe russo-terroristiche). L’artiglieria ucraina ha svolto i colpi di risposta nei confronti delle postazioni da fuoco dei gruppi di artiglieria dei terroristi.
Inoltre, questa settimana il nemico, dopo aver subito numerose perdite lungo tutto il fronte, è ritornato alle azioni attive dei gruppi di sabotaggio e ricognizione. Tali gruppi operano principalmente nella zona della piazza d’armi di Debal’tseve e nell’area intorno a Mariupol, utilizzando i mezzi di ricognizione tecnologici (droni e i mezzi radioelettrici).
La battaglia dell’arco di Debal’tseve sicuramente entrerà nella storia dell’Ucraina. Tanti esperti e blogger paragonano i combattimenti lungo il perimento della piazza d’armi di Debal’tseve alla battaglia dell’arco di Kursk durante la Seconda Guerra Mondiale, che ha cambiato il corso della guerra. Speriamo, che anche la battaglia dell’arco di Debal’tseve porterà la vittoria definitiva alle nostre truppe.
Slava Ukraini!

Dana Kuchmash

Riepilogo settimanale degli eventi di guerra in Donbas (26 gennaio – 1 febbraio 2015)

Anche questa settimana Eastern Europe Post ospita un articolo di Dana Kuchmash che, sulla base dei dati forniti dal gruppo di Resistenza Informativa del giornalista militare Dmytro Tymchuk, ricostruisce ciò che è successo dal 26 gennaio al 1 febbraio, in Donbas. (M.D.P)

Questa settimana l’arena principale degli scontri tra le truppe ucraine e quelle russo-terroristiche è stata la piazza d’armi di Debal’tseve. Nel corso della settimana entrambe le parti si sono scambiati colpi di artiglieria, con successi e perdite reciproche. I combattimenti feroci continuano anche in questo momento nella città di Vuhlehirsk, dove i terroristi per respingere le truppe ucraine bombardano la città, provocando numerosi morti e feriti tra i civili.
Nella zona di piazza d’armi di Debal’tseve il nemico utilizza i seguenti armamenti: circa 40 pezzi di artiglieria e i lanciarazzi multiplo nell’area da Pervomaisk fino a Chornukhyne, e circa 15-20 unità di artiglieria e di lanciarazzi multiplo dalla zona di Makiivka e a est da Yenakiieve. È stato spiegato un gruppo di artiglieria dei terroristi, completato dai militari russi provenienti dalle due brigate del Distretto militare centrale della Federazione russa (26 unità di obici semoventi e di artiglieria rimorchiata, 12 lanciarazzi multiplo). Nella giornata del 28 gennaio gli osservatori del gruppo RI hanno segnalato, che la quantità totale delle formazioni delle truppe russo-terroristiche, che combattono per la piazza d’armi di Debal’tseve, è di circa 2500 uomini, circa 35 carri armati, più o meno 50 mezzi corazzati BBM, fino a 50 unità di artiglieria (inclusa quella semovente), e minimo 22 unità dei lanciarazzi multiplo.
Inoltre, nella zona di località Nykyshyno (si tratta sempre della piazza d’armi di Debal’tseve) si svolgono le azioni di un gruppo tattico di terroristi (circa 300 uomini, una batteria di mortai, circa 10 unità dei mezzi corazzati), il quale tenta periodicamente di incunearsi nel fianco delle nostre truppe. Nel giorno 30 gennaio gli informatori del gruppo RI hanno comunicato dell’arrivo alla piazza d’armi di Debal’tseve delle risorse supplementari a quelle ammassate in precedenza: altri 8 lanciarazzi multiplo e circa 12 pezzi di artiglieria. Viene registrato l’arrivo alle postazione nella zona di Horlivka dell’artiglieria semovente (gli obici semoventi 2S1 “Gvozdika”), dalla parte di Makiivka sono arrivate 4 unità accompagnate da 2 camion telonati “Ural”. Da Yenakiieve, nel corso della giornata del 31 gennaio, il nemico ha portato altre forze: circa 15 unità dei camion telonati, accompagnati da un gruppo di mezzi corazzati, composto da 3 BMP-2. Attraverso la località Krasnyi Luch, verso questa zona è stata trasferita una nuova partita dei mezzi corazzati del nemico (8 carri armati e 14 unità di veicoli trasporto truppe BMP e BTR).

31gennaio

Come ho scritto sopra in questo momento continuano le battaglie nella piazza d’armi di Debal’tseve. Il nemico tenta di chiudere l’appendice a nord da Debal’tseve accerchiando in questo modo le truppe ucraine. Se dovesse succedere allora ci sarebbe il rischio di ripetere il destino delle truppe accerchiate ad Ilovaisk ad agosto dell’anno scorso. Per ora arrivano i dati contrastanti ma nonostante la presenza delle armi pesanti del nemico, le truppe ucraine svolgono le operazioni di successo, provocando le perdite della forza viva e dei mezzi da combattimento dei terroristi russi.
Gli altri punti bollenti del fronte erano nelle zone di località Avdiivka, Stanytsia Luhanska, l’area intorno alla località Dokuchaievsk, Mariupol. In questi settori del fronti le truppe russo-terroristiche svolgono non solo gli attacchi nei confronti delle postazioni ucraine e nei confronti degli impianti civili, ma anche vengono svolti la riorganizzazione delle truppe e il completamento delle unità, che hanno subito perdite durante i combattimenti.
Nella zona di Mariupol il nemico svolge i bombardamenti attivi nei confronti delle postazioni avanzate delle truppe ucraine (zona di Pavlopil, Talakivka, Sartana, i dintorni orientali di Mariupol). I bombardamenti vengono svolti principalmente con l’artiglieria e i mortai, i lanciarazzi multiplo vengono usati meno frequentemente. I terroristi portano le munizioni per la propria artiglieria con gli automezzi direttamente attraverso la frontiera, dal territorio della Russia.
Nella zona tra le località Dokuchaievsk e Starobeshevo il fuoco massiccio ha svolto il gruppo manovrabile di artiglieria dei terroristi (circa 30 unità di artiglieria). Tra le località Olenivka e Starobeshevo praticamente non è rimasto neanche un militante locale, ma operano le unità dei mercenari russi travestiti dai “ribelli”. In totale in questa zona operano 2 gruppi tattici di battaglione del nemico, con una quantità totale circa 1000 uomini, circa 18 carri armati e fino a 65 mezzi corazzati BBM.
La situazione a nord di Avdiivka si è aggravata. Le truppe russo-terroristiche hanno ammassato nella zona di Yasynuvata-Panteleimonivka il gruppo tattico di battaglione, composto da 15 carri armati e 25 mezzi corazzati BBM. Inoltre, il nemico ha trasferito in quest’area un’unità congiunta di artiglieria composta da 25 obici D-30 e cannoni anticarro MT-12.
In questo momento nelle sopracitate zone continuano gli scontri armati tra i terroristi russi e l’esercito ucraino. Attendiamo notizie di conferma sugli accadimenti odierni.
Slava Ukraini!

Dana Kuchmash

“L’Ucraina è Europa!” L’urlo inascoltato della piazza

Oggi ho letto un articolo che mi ha davvero colpito. L’autrice di questa straordinaria testimonianza si chiama Eleonora Trivigno. Eleonora, che ho avuto modo di conoscere lo scorso anno occupandomi del Maidan e della grave crisi tra Russia e Ucraina (oggi a tutti gli effetti una guerra, seppur non dichiarata), vive a Kyiv da 12 anni. Laureata in Storia dell’Europa Centro-Orientale, Master in Internazionalizzazione di Impresa, in Ucraina si occupa di Marketing & Comunicazione. Con l’inizio delle proteste in Maidan Nezalezhnosti, ha iniziato a collaborare con vari portali di informazione per documentare le vicende ucraine.
Ho contattato l’amica Eleonora e le ho chiesto il permesso di ri-pubblicare il pezzo uscito originariamente su Voci Globali http://vociglobali.it/2015/01/30/lucraina-e-europa-lurlo-inascoltato-della-piazza/ su Eastern Europe Post.
Lei ha accettato con piacere. Buona lettura
(M.D.P.)

Quando il 21 novembre 2013 alcune migliaia di studenti si riversarono sulla Majdan per protestare contro la mancata firma degli accordi UE a Vilnius, sotto la minaccia dei rettori di annullare il corso di studi per i partecipanti alle manifestazioni, non diedi molto peso alla vicenda. Ho un altro retroterra storico, per me la libertà di movimento e di espressione sono un fatto acquisito, le do sostanzialmente per scontate, non ho mai dovuto lottare per acquisirle.

E, d’altro canto, le manifestazioni sembravano avere un carattere decisamente contenuto. Carattere che persero di lì a pochi giorni quando, intorno alle tre di notte, tra il 29 ed il 30 novembre, il corpo speciale “Berkut” (in seguito disciolto) caricò brutalmente gli studenti, eseguendo l’ordine dell’allora ministro degli Affari Interni, Zacharcenko. L’ordine era: ”sgomberare la piazza per allestire l’albero di capodanno“. L’albero di natale, tradizionalmente allestito sulla Majdan Nezalezhnosti, qui è detto “di capodanno” (novogodnaja el’ka), perché 70 anni di ateismo di Stato hanno provveduto ad eliminare ogni riferimento a qualsivoglia dimensione religiosa.

Ho seguito poco la stampa italiana, e quella internazionale in generale, perché non avevo un gran bisogno di leggere gli articoli di giornalisti che il più delle volte non hanno neanche messo piede in Ucraina, per sapere quel che accadeva qui. Ma so che le proteste di massa sulla Majdan sono state raccontate essenzialmente come un’opposizione tra Unione Europea e Federazione Russa. A volte qualcuno dall’Italia mi ha persino chiesto ingenuamente se era il caso di morire per l’Unione Europea.

Il punto è che i riflettori della cronaca si sono fermati molto in superficie, non sono riusciti (o non vi era il desiderio, né l’intenzione) a cogliere la sostanza vera delle cose. Quando le centinaia di migliaia di manifestanti dalla piazza scandivano “Ukraina ce Evropa!” (l’Ucraina è Europa!) non intendevano tanto l’Unione Europea come istituzione, quanto l’Europa quale dimensione culturale, sociale e, per certi versi, politica.

Nei secoli, in maniera altalenante, l’Ucraina si è trovata ad essere inglobata territorialmente nell’Occidens, acquisendo sia pure in maniera embrionale i principi di libertà individuale e collettiva, di democrazia, partecipazione, di movimento dal “basso verso l’alto”. Pertanto ha sempre mostrato una forte resistenza ai tentativi di ordinamento autocratico espressi dalla Russia zarista prima e da quella sovietica poi, tendenti all’immobilismo, alla negazione dell’individuo e dei suoi diritti.

Euromaidan

Euromaidan

Il regime di Yanukovich – oggi ricercato dall’Interpol dopo essersi riparato in Russia dopo i fatti di Majdan – ma soprattutto la prospettiva di un Paese parte integrante dell’Unione Doganale, con il conseguente rischio di vedersi nuovamente risucchiati nell’orbita russa (benché, di fatto, da quell’orbita l’Ucraina non si sia mai emancipata appieno, neanche durante i 23 anni di indipendenza) hanno acceso la protesta. Ma era una protesta che di nazionalistico non aveva proprio niente, se non la manipolazione che delle vicende è stata compiuta da alcuni mezzi di informazione.

Parlo esclusivamente russo, come del resto la quasi totalità dei keviani presenti in piazza, come mio marito, cittadino ucraino, ma di nazionalità russa. Aspetto questo, che né nel mio caso, né in quello di mio marito o di tanti amici, ha mai rappresentato un problema: nessuno ha mai usato violenza nei nostri confronti, nessuno ci ha mai privato del diritto di usare la lingua russa in ambito familiare, di lavoro o in qualunque altra dimensione. Anzi, come accadeva anche prima di Majdan, i più dialogando passavano al russo. Conseguenza non solo di una connaturata propensione alla tolleranza e del desiderio di mettere a proprio agio l’interlocutore, ma anche di uno strano meccanismo psicologico proprio delle generazioni tra i 30 e i 50 anni, vissuti qui in un periodo in cui non era né opportuno, né prestigioso parlare ucraino e a scuola si finiva per scegliere il russo. Ché, in caso contrario, c’era il rischio di essere accusati di nazionalismo, bandierismo, di fascismo insomma.

La stessa accusa, che è stata mossa nei confronti dei manifestanti di Majdan, perché le categorie di “fascismo” versus ”comunismo” sono ancora vive nella memoria di tanti europei, di tanta parte della società civile, e quindi in grado di rendere più efficace la propaganda. Del resto, niente di sorprendente: il Muro di Berlino, nel blocco sovietico, era più noto come “muro dell’antifascismo”, per cui chiunque tentasse di passare dall’altra parte era etichettato come fascista.

Da novembre 2013 ad aprile 2014 ho frequentato tutti i giorni Majdan più nel ruolo di testimone e di documentatrice, che di attivista, e francamente non sono riuscita a ricondurre al fascismo, al neo-nazismo, nessuna delle azioni, che lì si svolgevano: ragazze che preparavano butterbrod (panini) e bevande calde per resistere alle temperature invernali; ragazzi che si preoccupavano di mettere insieme vestiario pesante o medicinali, necessari a curare i feriti dopo gli scontri con le forze dell’ordine; uomini e donne di ogni età che tiravano su barricate riempendo sacchi con la neve, o che hanno dato la vita perché non passassero le leggi dittatoriali, promulgate il 16 gennaio 2014.

Sono anche convinta anche nelle proteste di Majdan non vi fosse nulla, che rappresentasse una reale minaccia per l’Est del Paese, dove peraltro fino ad aprile 2014 non sono mancate manifestazioni di solidarietà con la piazza di Kiev, poi opportunamente (e con la violenza) messe a tacere.

trivigno2

Nel conflitto, che ormai da mesi infiamma alcune aree orientali (circa il 7% del territorio nazionale) hanno pesato, in parte, un sistema imprenditoriale ed economico, in gran parte dipendente da Mosca, ma anche e soprattutto l’azione propagandistica di esponenti del Partito delle Regioni ed oligarchi, che vedevano nella secessione una possibilità di conservare il proprio potere ed il controllo sui flussi finanziari a livello locale, avendoli persi a livello nazionale. Ciò di fatto ha offerto il fianco all’ingerenza del Cremlino, per il quale l’Est ucraino riveste una funzione strategica importantissima di comunicazione con la Crimea, annessa in seguito al referendum del 16 marzo 2014. Senza un “corridoio” sul territorio continentale ucraino, di fatto, la penisola è privata di qualsivoglia di comunicazione e rifornimento.

Da mesi ormai in Ucraina si vive una vita di apparente normalità in gran parte del Paese, mentre all’Est si passa da periodi di relativa tregua a fasi di scontri più accesi. A dicembre si credeva che il conflitto fosse ormai sostanzialmente congelato, ma gennaio è stato caratterizzato da attacchi terroristici e attività militare di grande intensità. Pur non potendo affermarlo con assoluta certezza, personalmente credo che la nuova escalation non sia preludio di un’invasione o di un conflitto su più vasta scala.

Ritengo piuttosto, che il vero obiettivo sia quello di indurre l’Ucraina a promulgare lo stato di guerra, in presenza del quale i finanziamenti internazionali non sarebbero più possibili. E senza di essi il Paese si avvierebbe inesorabilmente verso il default, nel qual caso in molti da queste parti (in Ucraina, ma anche e soprattutto in Russia) a lungo penseranno, che non val la pena di scendere in piazza, protestare, rivendicare i propri diritti. Il prezzo da pagare sarebbe troppo alto.

Eleonora Trivigno

Pubblicato originariamente su Voci Globali
http://vociglobali.it/2015/01/30/lucraina-e-europa-lurlo-inascoltato-della-piazza/

Riepilogo settimanale degli eventi di guerra in Donbas (19 – 25 gennaio 2015)

Come la scorsa settimana Eastern Europe Post ospita un articolo di Dana Kuchmash che, sulla base dei dati forniti dal gruppo di Resistenza Informativa del giornalista militare Dmytro Tymchuk, ricostruisce ciò che è successo nell’ultima settimana, dal 19 al 25 gennaio, in Donbas (Ucraina). Quella appena conclusasi è stata una settimana davvero tragica… Nonostante i media italiani continuino ad occuparsi di patti del nazareno e di altre questioni futili e irrilevanti – tv e giornali italiani sono potentissime armi di distrazione di massa – l’offensiva russa in Donbas ha portato alla morte di decine di civili a Donetsk e a Mariupol, vittime innocenti di vili attacchi terroristici. La comunità internazionale ha invitato il presidente russo Vladimir Putin a non violare l’accordo di Ginevra, ma quell’accordo non è mai stato rispettato dai terroristi russi armati e supportati dal Cremlino.

Pavel Gubarev

Putin continua a negare l’evidenza – nonostante Pavel Gubarev, autoproclamatosi governatore della Repubblica Popolare di Donetsk ha scritto sulla sua pagina Facebook “che i suoi stanno attaccando Mariupol”, ossia che sono stati i suoi miliziani con missili Grad a bombardare la popolazione civile – e l’Europa fa spallucce. Nelle ultime ore in Italia i media sono impegnati a tessere le lodi di Tsipras e della sua sinistra “radicale ma democratica”. Una sinistra talmente democratica che non solo ha l’appoggio e il supporto di molti partiti fascisti e xenofobi d’Europa come il Fronte Nazionale di Marine Le Pen, ma che, in ossequio ad autentici principi di democrazia e di rispetto del diritto internazionale, difende l’operato dell’inquilino del Cremlino in Ucraina. L’ONU tace come ai tempi di Sarajevo…. (M.D.P.)

Questa settimana gli informatori sul campo del gruppo Resistenza informativa segnalavano un’attivazione delle truppe russo-terroristiche lungo tutta la linea del fronte in Donbas. In particolare, i punti più bollenti della zona del conflitto erano l’aeroporto di Donetsk, la zona della stessa città di Donetsk, Debal’tseve, Pisky, Avdiivka, Mariupol, i posti di blocco n°31 e 29, Triokhizbenka, Krymske, Stanytsia Luhanska.
All’inizio della settimana l’attenzione di tutti era rivolta agli eventi intorno all’aeroporto di Donetsk. Dove i militari ucraini, i cosiddetti “cyborgs” combattevano contro le truppe russo-terroristiche.
Il nemico continuava a bombardare le postazioni avanzate dell’esercito ucraino nella zona dell’aeroporto di Donetsk, e nella zona di località Pisky, Opytne e Avdiivka, cercando di ostacolare l’arrivo dei rinforzi per le unità ucraine, e per ostacolare la loro riorganizzazione. Il tentativo di “fermare l’avanzamento” dei mezzi corazzati ucraini, trasformatosi nella distruzione del ponte Putylivskyi, era il risultato del panico tra le file delle bande, che sono state bombardate dai carri armati del gruppo dei mezzi corazzati ucraini e sono stati costretti ad abbandonare le proprie postazioni. Nell’area di Spartak l’artiglieria ucraina ha soppresso i punti da sparo del nemico. L’esercito ucraino si era stabilito nella periferia di Spartak. I militanti invece di eseguire il compito di “prendere sotto il controllo” l’aeroporto di Donetsk, hanno perso una parte delle postazioni ai fianchi.
Ma purtroppo i militari ucraini non sono riusciti a mantenere il successo raggiunto a Spartak a causa del malfunzionamento dei mezzi corazzati e della cattiva gestione del comando. Il nemico ha respinto le truppe ucraine, e dopo aver fatto esplodere il nuovo terminal dell’aeroporto ha costretto i soldati ucraini a ritirarsi. Tuttavia i cyborgs non hanno abbandonato del tutto l’aeroporto di Donetsk, anzi sono arrivati i rinforzi e ancora oggi ci sono i combattimenti per il controllo di quel territorio.
Un altro punto bollente del fronte era il posto di blocco n°31. Continuavano i combattimenti feroci in quell’area. Il nemico ha spiegato una quantità considerevole di artiglieria, si notavano minimo 2 gruppi di artiglieria (totale circa 25 unità di artiglieria, principalmente sono gli obici D-30 da 122 mm, e circa 10 lanciarazzi multiplo). Tali gruppi hanno eseguito gli ordini di colpire non solo le unità ucraine nelle postazioni avanzate, ma anche all’interno del loro ordine di battaglia. Inoltre, l’artiglieria del nemico ha tentato di ostacolare l’arrivo dei rinforzi e lo svolgimento della fornitura delle risorse tecnico-materiali alle unità dell’esercito ucraino nella suddetta zona. Il nemico tentava di svolgere la ricognizione con l’artiglieria (in primis allo scopo di raccogliere i dati per i bombardamenti con l’artiglieria nei confronti dei punti di controllo, rifornimento e collegamento delle truppe ucraine). Alla fine il posto di blocco n°31 è stato distrutto dall’artiglieria del nemico, ed è diventato la terra di nessuno.
Anche nella zona di strada Bakhmutska (la cosiddetta Bakhmutka) continuano i combattimenti feroci tra le truppe ucraine e quelle russo-terroristiche. In questa zona il nemico ha compiuto sforzi significativi per “rompere il fronte”, tuttavia questi sforzi non hanno avuto alcun successo. Nella suddetta area sono state documentate le attività dei due gruppi di artiglieria del nemico, che interagiscono tra di loro (circa 40 unità di artiglieria e di lanciarazzi multiplo), e circa 25 carri armati e i mezzi corazzati BBM, concentrati in un’area stretta. I bombardamenti e i tentativi dell’assalto da parte del nemico incontrano la risposta dell’esercito ucraino, che difende le proprie postazioni avanzate lungo il fiume Siverskyi Donets. Inoltre, le postazioni delle truppe ucraine nella zona di località Krymske e Triokhizbenka si sottopongono ai massicci bombardamenti.

Donbas

Lungo la strada Bakhmutska proseguono i tentativi dell’offensiva del nemico nella zona di posto di blocco n°29. Due attacchi massicci i militanti hanno svolto con il supporto di artiglieria. Tuttavia in seguito alle azioni di risposta delle unità di artiglieria dell’esercito ucraino il nemico non è riuscito ad avanzare significativamente verso il fiume Siverskyi Donets, avendo perso minimo 4 unità dei mezzi corazzati.
Lungo tutta la linea del fronte le truppe russo-terroristiche hanno continuato la riorganizzazione, il rafforzamento e il completamento delle proprie file. Dal territorio della Federazione Russa sono arrivati i rinforzi composti dalla forza viva e dai mezzi di combattimento. In alcune zone i militari russi si travestono dai militanti locali.
Nella zona di Mariupol il nemico ha eseguito una serie dei bombardamenti massicci nei confronti delle postazioni dell’esercito ucraino (la zona di Talakivka, Pavlopil, Sartana). Questi bombardamenti sono stati svolti allo scopo di coprire la riorganizzazione delle unità russo-terroristiche nella direzione di Mariupol. I gruppi avanzati del nemico sono rinforzati significativamente sia con la forza viva sia con i mezzi da combattimento. Vengono notate le azioni in quest’area di minimo 10 carri armati dei militanti direttamente nelle postazioni frontali. Continua l’avanzamento dei mezzi corazzati verso le linee frontali. Tuttavia, i gruppi avanzati delle truppe russo-terroristiche non sono riusciti ad avanzare né a nord-est né a nord da questa città. L’artiglieria del nemico svolge il fuoco massiccio nei confronti delle postazioni avanzate dell’esercito ucraino, tentando di creare le condizioni per l’ulteriore avanzamento dei gruppi dei militanti.
Il comando delle truppe russo-terroristiche dopo la riorganizzazione delle proprie formazioni, operanti nella direzione marina, di nuovo ha tentato di svolgere l’offensiva a nord e nord-est da Mariupol, concentrando i propri sforzi nell’area tra le località Chermalyk-Pavlopil-Sartana (nella giornata di 23/01/2015). Il gruppo tattico d’assalto, che agisce in questa zona, coordina le proprie azioni dall’unico punto di controllo con un gruppo tattico, operante direttamente nella direzione di Mariupol. Il punto di controllo si colloca a nord da Novoazovsk.
Tutto ciò si è trasformato nell’attacco con i lanciarazzi multiplo BM-21 Grad al quartiere “Vostochnyi” di Mariupol nella giornata di 24 gennaio 2015. Provocando la morte dei 30 civili e circa 100 feriti, tra i quali 40 persone sono in pericolo di vita. Il bombardamento di città è stato svolto dalla zona di Novoazovsk, occupata dalle truppe russo-terroristiche. Nei pressi del quartiere “Vostochnyi” si colloca il posto di blocco del reggimento “Azov”, che tuttavia si trova a 4 km dal quartiere, persino con un’arma come GRAD è difficile sbagliare a 4 km.
Un’altra zona colpita dai violenti combattimenti è nell’area di Debal’tseve. In settimana le truppe russo-terroristiche hanno bombardato le postazioni ucraine dalla zona di località Stakhanov, e hanno tentato di prendere la località Troitske, senza alcun successo.
Analizzando la mappa pubblicata dal Centro analitico-informativo del Consiglio Nazionale della Sicurezza e Difesa Ucraino, si osserva la situazione tesa intorno alla località Debal’tseve, che nel caso di sconfitta delle truppe ucraine in questa zona, rischia di ripetere la tragedia di Ilovaisk, successa ad agosto del 2014.
La notte scorsa (tra il 24 e 25 gennaio) è stata sorprendentemente tranquilla. Non vorrei che fosse la quiete prima della tempesta.
Slava Ukraini!

Dana Kuchmash