ABBECEDARIO UCRAINO II. Dal Medioevo alla tragedia di Chernobyl – Nota dell’autore

In uno scritto del 2004, intitolato Tra comunismo e globalizzazione: crisi della coscienza critica della cultura (Ucraina e Belarus’), uscito prima della Rivoluzione Arancione, Oxana Pachlovska analizzava in duplice prospettiva, politica e culturale, le risposte offerte da Ucraina e Bielorussia, Paesi dello spazio ortodosso postcomunista, alla sfida democratica sorta tredici anni prima con il dissolvimento dell’URSS.

Pachlovska sottolineava come Kyiv e Minsk, nel fare i conti con il loro passato, stessero offrendo due risposte differenti all’eredità totalitaria, a causa del diverso grado di ‘sedimentazione’ del retaggio sovietico.

A detta della studiosa la maggiore o minore permeabilità alle istanze democratiche era funzione del livello di russificazione sperimentato dal Paese. A sua volta il grado di russificazione e/o di sovietizzazione dipendeva dal livello di ‘europeizzazione’ delle loro matrici culturali originarie.

Le principali differenze tra Ucraina e Bielorussia, che facevano ipotizzare per l’Ucraina una probabile rottura con il passato, risiedevano nella policentricità della sua civiltà – una civiltà dialogante composta di più chiese e di più lingue – e nel diverso ruolo dell’intellighenzia nazionale da sempre a capo di autentici movimenti di liberazione.

“Il carattere dialogante della civiltà ucraina ha cominciato ad elaborarsi già tra il Quattrocento e il Seicento, quando, a causa delle particolari vicissitudini storiche di quest’area, la comunità locale si cercò una sua specifica identità nell’interazione di codici confessionali, culturali, linguistici diversi. Il tratto fondamentale dell’’europeicità’ della cultura ucraina sta proprio in quel carattere dialogante, nell’apertura verso la conoscenza e la ricezione dell’Altro. In particolare, il punto nodale è rappresentato dalla tradizione religiosa composita, e riveste una sua particolare attualità in tutta la cerchia slavo-bizantina. […]  In effetti, l’Ortodossia ucraina costituisce una variante atipica e per certi versi paradossale. Lungi dal chiudersi nel proprio universo di fede, l’Ortodossia ucraina è stata sempre aperta alle altre correnti religiose europee. Così, l’influsso esercitato dal Cattolicesimo e dal Protestantesimo lasciò il suo segno, sia che il dialogo desse luogo ad un proficuo incontro o finisse in uno scontro senza esclusione di colpi. Questo fatto rese l’Ortodossia ucraina più permeabile, flessibile e tollerante, meno dogmatica, più disposta al dialogo e alla comunicazione con l’Altro. Del resto, una simile scelta veniva dettata dalla realtà della convivenza tra diversi. La realtà ucraina era un magma in continua ebollizione, e l’identità culturale di quest’angolo dell’universo slavo-ortodosso versava sempre in equilibrio precario, alla ricerca di una qualche unità tra i molteplici elementi che la costituivano. Da qui il ruolo di mediazione che l’Ucraina ha sempre ricoperto tra mondo occidentale e universo slavo di matrice bizantina”.    

Nonostante l’Ucraina facesse ancora parte di quell’area postcomunista caratterizzata da “rivoluzioni non finite”, ossia da quell’insieme di repubbliche ex sovietiche in cui l’indipendenza da Mosca non aveva prodotto un taglio netto con il passato a differenza che nei Baltici e nei Paesi dell’ex Patto di Varsavia, la realtà politica a Kyiv era meno incartapecorita che a Minsk.

Mentre in Bielorussia Lukashenko governava il Paese con pugno di ferro già da 10 anni e lo avrebbe fatto per altri 12 fino alle contestate elezioni presidenziali del 9 agosto 2020 (la situazione a Minsk è ancora in evoluzione e nonostante Lukashenko abbia annunciato ai dimostranti della piazza il 27 novembre 2020 di lavorare a una nuova costituzione in seguito alla cui proclamazione non sarà più Presidente, nel momento in cui scrivo – gennaio 2021 – non è chiara né la data di stesura né i motivi del passo indietro… pressioni da parte della Russia?), in Ucraina l’opposizione democratica guidata dal futuro Presidente Arancione, il riformatore filoccidentale Viktor Yushchenko, aveva vinto le elezioni parlamentari del marzo 2002 distanziando sia i comunisti sia i partiti oligarchici che sostenevano il Presidente Leonid Kuchma.

Nei primi mesi del 2004 la situazione in Ucraina era tale da indurre a un cauto ottimismo sebbene la “massa amorfa della società post-sovietica” – quella stessa massa che giocherà un ruolo chiave nelle elezioni presidenziali del 2019, a dispetto di ben due Rivoluzioni, quella Arancione di fine 2004 e quella della Dignità del 2013-2014 (nota anche come Euromaidan) che sembravano avere indirizzato definitivamente l’Ucraina verso un modello di società liberal-democratico di stampo europeo – venisse considerata da Pachlovska un fattore destabilizzante che avrebbe potuto inibire l’approdo a una società autenticamente democratica e desovietizzata.

A distanza di quasi vent’anni le considerazioni della studiosa su quella Terza Ucraina, né filorussa, né filoccidentale, ma “disorientata e incoerente nelle sue scelte, del tutto plasmabile dal nuovo Potere”, appaiono straordinariamente attuali. Tali riflessioni, aggiornate all’era dei social media e della guerra ibrida del Cremlino – in cui dezinformatsiya e fake news giocano un ruolo chiave nel disorientare l’opinione pubblica interna ed esterna forse più che ai tempi di Bandera e del Holodomor –, costituiscono utile cartina al tornasole per analizzare un Paese, che con l’elezione di Volodymyr Zelenskyi, appare meno ideologizzato rispetto agli “anni patriottici” del post-Maidan ma più confuso sulla direzione da prendere.      

Se con la firma del trattato di Associazione con la UE nel luglio 2017, l’Ucraina di Poroshenko aveva certificato la fine del multivettorialismo Mosca/Bruxelles, mettendo in chiaro che vedeva il suo futuro in Europa – il completamento con successo dell’attuazione del Piano d’azione per la liberalizzazione dei visti e la conseguente introduzione di un regime visa free per gli ucraini che viaggiano per un breve periodo nei paesi della zona Schengen era stato un ulteriore passo in questa direzione –, oggi tutto questo sembra essere messo di nuovo in discussione dalle scelte compromissorie della nuova leadership.

È ancora troppo presto per parlare di un ritorno al multivettorialismo dei tempi Kuchma o di un riavvicinamento a Mosca, perché lo scenario storico e geopolitico è profondamente mutato rispetto ai primi anni Duemila e perché la guerra in Donbas, tuttora in corso nonostante le promesse elettorali di Zelenskyi di cessarla al più presto, ha introdotto fratture difficili da sanare sia con la Russia sia all’interno della società ucraina. Utile invece è analizzare come mai l’Ucraina nonostante l’impatto epocale della Rivoluzione della Dignità debba ancora oggi fare i conti con ampie fasce di popolazione profondamente sovietizzate.

Questo secondo volume di Abbecedario Ucraino, che con i suoi 22 lemmi passa in rassegna protagonisti ed eventi storici chiave del Paese dal Medioevo fino al dissolvimento dell’URSS (Rus di Kyiv, Cosacchi, Mazepa, Bandera, Rinascimento Fucilato, Holodomor, Chornobyl, etc), aiuterà il lettore a comprendere in ottica storica le problematiche politico-culturali attuali e le ragioni degli stop and go che hanno caratterizzato l’Ucraina negli ultimi 29 anni.   

Massimiliano Di Pasquale